Quantcast
Channel: SALOTTO PRECARIO » Cultura e Creatività
Viewing all articles
Browse latest Browse all 10

Ultimo articolo di Salotto Precario. Non ce l’abbiamo fatta. E voi neppure.

$
0
0

QUESTO POST È L’ULTIMO

Quello che state leggendo è il post conclusivo di questo sito.
Salottoprecario.it è stato aperto nel 2010 e ha avuto per due anni quattro redattori. Nel 2012, è stato invece curato esclusivamente dal sottoscritto. L’ultimo ciclo di pubblicazione seriale – e cioè il Glossario di Guerra – sarà ripreso e proseguito in futuro su un nuovo strumento di comunicazione online.
Ho deciso di concludere perché questo sito è sempre stato legato a uno specifico progetto politico. I grossi cambiamenti determinatisi a partire dalla fine del 2011 nello scenario politico nazionale – e ancor più in quello europeo – hanno reso obsoleto quel progetto. Quest’ultimo constava di due livelli d’intervento: uno nazionale e uno amministrativo-locale sul territorio di Bologna.
Di seguito, quindi, proverò ad abbozzare un consuntivo e una spiegazione del perché si sia determinata l’obsolescenza della prospettiva nazionale, nonché dei risultati sia mancati che centrati in ambito locale. Ciò significa che l’articolo ha la singolare caratteristica di alternare analisi generali della fase storica con resoconti inerenti la politica di quartiere.
Questa trattazione, infine, non nasce da un’elaborazione collettiva, bensì esprime un’analisi esclusivamente personale. Mi sono però preso il permesso di pubblicare questa storia per il fatto di aver espresso, con il mio impegno personale, una continuità di progetto dal 2008 a oggi.

L’ESPERIENZA DI SALOTTO PRECARIO

Salotto Precario nasce, in principio, come collettivo informale, si forma a Bologna nel 2008 ed è composto da una decina di lavoratori precari della cultura.
Tra la fine del 2009 e l’inizio del 2010, “Salotto Precario” è altresì il nome di una serie di incontri pubblici organizzati presso il Quartiere San Vitale dalla consigliera Francesca Rossi e finalizzati a elaborare congiuntamente, tra istituzioni e precari del settore culturale, proposte di welfare territoriale.
Nel luglio 2010, apre il sito salottoprecario.it.
Nel settembre 2010 e nel settembre 2011, infine, “Salotto Precario” è il nome di uno spazio dibattiti presso la Festa Provinciale dell’Unità.
Dal 2008 in avanti, la composizione del collettivo cambia più volte e il numero dei militanti ruota sempre intorno alla ventina di persone. La costante in termini di immagine pubblica, invece, è data dai due fondatori del progetto, ovvero il sottoscritto Riccardo Paccosi e la già citata Francesca Rossi.
Ma torniamo al momento d’inizio, ovvero al 2008. Il progetto di Salotto Precario ha una prospettiva dichiaratamente marxista e si muove seguendo alcuni e specifici lineamenti teorici:
a) innanzitutto, il precariato viene interpretato in quanto espressione contemporanea del concetto marxiano di classe generale;
b) in secondo luogo, la parola “precari” viene assunta nella sua valenza non giuslavoristica bensì sociologica; questo significa che la definizione non include soltanto il lavoro dipendente a tempo determinato, ma anche un’estesa parte del lavoro autonomo, del mondo delle prestazioni occasionali e, infine, del sommerso;
c) l’obiettivo centrale è quello di costruire forme di welfare territoriale che – come le Case del Popolo e le Società di Mutuo Soccorso all’inizio del Novecento – fungano da punti di raccolta; servizi locali che stimolino, cioè, i processi di coalizione e mobilitazione delle nuove forme del lavoro e siano dunque capaci, in prospettiva, d’innalzare il livello generale dello scontro di classe; tutto questo non attraverso strutture direttive bensì, al contrario, attraverso percorsi finalizzati a valorizzare l’autonomia di classe sul piano organizzativo e strategico;
d) il punto cruciale di tutto il progetto, però, consta del citato welfare territoriale; perché delle forme anche parziali di quest’ultimo si possano materializzare, è necessario operare sul piano amministrativo e, più in generale, misurarsi col paradigma politico del riformismo; di qui, l’idea di un progetto che da una parte promuova momenti di autorganizzazione e partecipi a dinamiche di movimento e, dall’altra, operi all’interno del principale partito del centrosinistra, vale a dire il PD.
Pertanto, dal 2008 al 2012 Salotto Precario partecipa a manifestazioni di piazza, si confronta con collettivi autorganizzati di precari. Al contempo, promuove nel 2009 la candidatura di Francesca Rossi – come “candidata precaria” – al Consiglio del Quartiere San Vitale. Dopodiché, l’anno successivo, prende vita il Circolo Precari del PD.

L’ESPERIENZA DEL CIRCOLO PRECARI PD

Il Circolo Precari PD nasce nel luglio del 2010 grazie agli attivisti di Salotto Precario e rimane, a tutt’oggi, l’unico circolo di precari del Partito Democratico esistito in Italia.
Il Circolo porta nel dibattito interno al PD i lineamenti teorici del Salotto sopra elencati, elabora proposte di welfare a livello sia locale che nazionale e pubblica critiche nei confronti della linea nazionale del partito sui temi del lavoro.
Rispetto a quest’ultimo aspetto – quello della dialettica interna al PD – il Circolo Precari evita di discutere con le numerose figure esplicitamente liberiste presenti nel partito, giacché l’assoluta antitesi fra le posizioni renderebbe tale discussione una perdita di tempo. Sviluppa, pertanto, un confronto/scontro esclusivamente con la componente socialdemocratica, quella coalizzatasi intorno al mandato di segreteria di Pierluigi Bersani. In particolare, le critiche del Circolo Precari alla segreteria nazionale battono il tasto sui seguenti punti:
a) l’insieme delle figure che si occupano di lavoro precario all’interno del PD è, in maggioranza, priva di competenza sull’argomento; manca, cioè, il necessario portato bio-politico derivante dall’aver esperito in prima persona la condizione di precarietà; più brutalmente, gli esponenti di ceto medio-alto che guidano il partito, non posseggono strumenti cognitivi ed epistemologici atti a interpretare la condizione esistenziale dei nuovi ceti poveri;
b) a causa di questo gap, s’impongono nel PD linee d’indirizzo inefficaci o addirittura dannose come, ad esempio, quella di rendere – in uno scenario di mercato del lavoro praticamente immobile – i contratti flessibili più costosi di quelli a tempo indeterminato; in breve, una proposta che non farebbe altro che ridurre le retribuzioni e far aumentare il sommerso;
c) in un’ottica di ascolto delle istanze provenienti dagli ambiti dell’autorganizzazione di classe, il Circolo Precari indica altresì la necessità di mettere in agenda l’istanza d’un reddito minimo per tutti nei periodi di non-lavoro; la caratteristica principale di questo basic income, secondo i documenti prodotti dal Circolo, dovrebbe risiedere nell’esser del tutto svincolato – a differenza del sussidio di disoccupazione – dalla quantità di contributi previdenziali versati.
Le posizioni di cui sopra sono presentate e dibattute in numerosi ambiti di discussione interni al Partito Democratico: presso il Forum Lavoro di Bologna, alle Conferenze del Lavoro Provinciale e Regionale, a quelle nazionali del 2011 e del 2012 e, infine, in numerosi dibattiti svolti alla Festa Provinciale dell’Unità.
Durante le elezioni comunali a Bologna del 2011, il Circolo Precari estende il proprio raggio d’azione e dà vita a una campagna elettorale finalizzata a sostenere, oltre Francesca Rossi, tre candidate precarie di altrettanti Quartieri. Due di esse – Francesca De Benedetti e Matilde Madrid – si iscrivono successivamente al Circolo compartecipando, per tutto il 2012, alla direzione politica e alla rappresentanza pubblica dell’intero progetto.
Il PD, che ci crediate o no, è tutto sommato un partito che offre libertà d’espressione. Tanto che è possibile, a questo collettivo precario, organizzare e promuovere numerose iniziative “eretiche” in ambiti ufficiali. Per ciò che riguarda i dirigenti locali, bisogna altresì ammettere che le tesi del Circolo ricevono un minimo di ascolto. Da parte dei dirigenti nazionali, malgrado le numerose occasioni d’interlocuzione, il feedback risulta invece essere pari a zero.
Ad ogni modo, fino al novembre del 2011, tutti noi militanti riteniamo che questa dentro al PD sia una battaglia che, pur tra mille difficoltà, valga la pena combattere. A un certo punto, però, qualcosa cambia. Tutto il progetto generale di Salotto Precario – e soprattutto la sua articolazione riformista, ovvero il Circolo Precari – dev’essere ripensato a causa d’un gigantesco cambiamento nello scenario politico nazionale: la nascita del Governo Monti.

IL GOVERNO MONTI, OVVERO QUANDO VIENE SANCITA L’IMPOSSIBILITÀ DEL RIFORMISMO

Ovviamente, a fine 2011, non ci si accorge immediatamente di quanto stia per essere ampia, profonda e distruttiva la trasformazione che il mandato di Mario Monti si appresta a determinare.
Possiamo dire, però, che il Circolo Precari si sveglia un po’ prima di altri. Nel marzo 2012, di fronte a una Riforma Fornero che attacca frontalmente il potere contrattuale dei lavoratori e sancisce giuridicamente la fine del diritto alla pensione, i venti militanti del Circolo sono gli unici iscritti PD di tutta la penisola italiana a pronunciarsi pubblicamente chiedendo alla segreteria nazionale, tramite una lettera-documento, di togliere la fiducia a Monti e tornare al voto.
Il problema, purtroppo, è assai più ampio di una specifica riforma orientata contro la working class. Infatti, l’approvazione del fiscal compact, del pareggio di bilancio in Costituzione, nonché la riforma degli Articoli 117 e 119 che sottrae autonomia di bilancio agli Enti Locali, sanciscono uno scenario per cui, inesorabilmente e per decenni, la spesa pubblica dovrà diminuire. Tutto questa significa che la riduzione e la destrutturazione del welfare state divengono, per legge, una prospettiva unica e ineluttabile. Una prospettiva teorizzata, del resto, da Mario Draghi in persona tramite l’affermazione “il modello sociale europeo è morto”.
Se la spesa pubblica si riduce, di colpo qualsiasi proposta di welfare dev’essere contrattata al ribasso. Il riformismo – già malandato da decenni – si trasforma così in un affannarsi intorno ad “ammortizzatori sociali” che sono, all’atto pratico, poco più che un’elemosina e/o un’azione propagandistica di cosmesi sociale. Lo stesso reddito minimo, nel momento in cui sto scrivendo, si appresta a diventare funzione e alibi d’un evidente progetto di sinizzazione del mercato del lavoro, vale a dire un abbassamento generalizzato dei salari e delle retribuzioni.
Per farla breve, dopo il Governo Monti lo Stato non è più, semplicemente, uno spazio istituzionale egemonizzato dalla classe dominante. Per milioni di operai, precari ed esponenti impoveriti del ceto medio – quindi per la maggioranza assoluta degli italiani – esso diviene un nemico di classe in senso integrale. Un nemico di classe che persegue, attraverso le politiche di austerità, un progetto deliberato d’impoverimento di massa. Dal momento che un governo dedito a impoverire la popolazione non è cosa prevista dalla Costituzione, tutto questo permette d’identificare altresì lo Stato come promotore d’un processo di eversione dell’ordine costituzionale atto a svuotare di fondamento, quantomeno, gli Articoli 1, 2, 3, 4, 32, 33, 34, 35, 37, 38 e 41 della Carta. Una situazione su cui tutta quella sinistra sia di partito che di società civile – cioè quella sinistra che per vent’anni è scesa in piazza a “difendere la Costituzione da Berlusconi” – tace del tutto. Tace del tutto mostrando, in tal modo, un’inquietante mescolanza di ottusità e connivenza nei confronti dell’eversione in atto.
Per farla breve, la riduzione progressiva della spesa pubblica e il fatto che lo Stato sia divenuto fautore d’un disegno eversivo contro la propria stessa Costituzione, determinano uno scenario atto a sancire, dalla nascita del Governo Monti a oggi, la impossibilità del riformismo. Nel momento in cui vengono normati giuridicamente riduzione della spesa e assottigliamento del welfare per i prossimi vent’anni, i presupposti fondativi del riformismo crollano. E crollano, altresì, quel realismo e quella concretezza che l’idea riformista ha sempre rivendicato come tratti distintivi. Oggi, ragionare in termini di realpolitik significa, purtroppo, ragionare di processi rivoluzionari.
Eppure, malgrado tutto questo, nel 2012 il progetto di Salotto Precario/Circolo Precari continua – nel bel mezzo della devastazione montiana – a occuparsi del secondo livello d’intervento riformista che si era proposto: quello amministrativo-locale.

PIANO AMMINISTRATIVO-LOCALE 1: SERVIZI DI CONSULENZA PER I PRECARI? ALLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE NON INTERESSANO

In occasione delle due elezioni amministrative susseguitesi nella città di Bologna a poca distanza l’una dall’altra, il progetto di Salotto Precario si pone due obiettivi di welfare locale. Lo strumento per perseguirli è rappresentato dalle due elezioni di Francesca Rossi al Consiglio del Quartiere San Vitale, nel 2009 e nel 2011. Uno di questi obiettivi è fallito, l’altro è riuscito oltre le aspettative.
Il risultato mancato, purtroppo, è altresì quello più importante. Si tratta del primo punto del programma elettorale della candidata ufficiale del Circolo: uno sportello di consulenza e orientamento gestito da precari e rivolto ad altri precari, dunque un’idea di welfare mutualistico. In particolare, l’intenzione è rivolgersi a un target sociale del tutto scoperto: i giovani che si affacciano sul mercato del lavoro e, tra essi, coloro che si apprestano a lavorare in forma autonoma o, comunque, di pluri-committenza.
L’idea nasce dalla precedente esperienza avuta dai fondatori con la gestione dello sportello PopLab: uno strumento consulenziale e di orientamento, gestito da un’associazione di precari, che la Regione Emilia-Romagna ha finanziato dal 2002 al 2004. L’intenzione è dunque costruire un servizio analogo ma rinnovato, dal costo irrisorio e rivolto allo stesso segmento sociale. Questo, sostanzialmente, per tre motivi: a) il servizio precedente – PopLab – aveva raccolto attorno a sé un bacino d’utenza di oltre 3.000 persone; b) come rilevato da una ricerca effettuata dal Circolo nel marzo 2011 su un campione di 200 giovani precari, la maggioranza dei lavoratori flessibili, a Bologna, non fruisce di alcun servizio front office di orientamento: né di quelli pubblici né di quelli legati a sindacati o associazioni di categoria.
La Regione Emilia-Romagna, dal 2005 al 2012, fa capire di non avere alcun interesse a riattivare servizi di consulenza per i precari. Per quanto riguarda il Comune, durante la campagna elettorale 2011 il candidato-sindaco Merola si pronuncia pubblicamente a favore del progetto (vedi foto a fianco). In seguito all’elezione, la proposta di sportello incontra però, da parte dell’Assessore competente, non soltanto disinteresse ma finanche una certa ostilità.
In definitiva, se qualcun altro si stesse occupando di accompagnare i giovani precari nell’ingresso al mercato del lavoro, non ci sarebbe nulla da recriminare. Ma il rifiuto di questo progetto, purtroppo, avviene in cambio di una netta latitanza di servizio pubblico su questo fronte.
In ogni caso, dal punto di vista di un’amministrazione progressista, questo piccolissimo progetto si assomma allo sterminato elenco delle occasioni mancate per entrare in contatto con quella maggioranza di ventenni, trentenni e quarantenni – quindi con quella maggioranza di precari – che in maggioranza non vota per il centrosinistra.

PIANO AMMINISTRATIVO-LOCALE 2: MOB E L’INTERVENTO SUI PRECARI DELLA CULTURA

L’altro punto saliente del programma del Salotto/Circolo tramite Francesca Rossi, riguarda uno specifico settore del lavoro precario, quello culturale.
Dopo la rielezione nel maggio 2011, Francesca diviene responsabile della Commissione Cultura Creativa, Pari Opportunità e Tematiche del Lavoro del Quartiere San Vitale. Deve dunque gestire una Commissione, senza però disporre di alcuna risorsa economica.
La consigliera elabora così l’idea della rassegna/network MOB – Molecole Bolognesi. Questo progetto amministrativo si propone di utilizzare le istituzioni come strumento di mediazione, a livello cittadino, fra produzione (artisti, band, associazioni culturali) e distribuzione (teatri, locali privati, circoli). L’amministrazione di quartiere stabilisce cioè una sorta di convenzione con un insieme di spazi affinché questi ultimi ospitino ad affitti ridotti di un decimo (nel caso dei teatri) o retribuendo (nel caso della maggior parte dei locali), tutti i lavoratori della cultura che presentino progetti al Quartiere.
Nel 2013, MOB esonda al di fuori del Quartiere San Vitale mettendo in rete artisti e spazi di tutta la città. Diviene così un servizio certamente settoriale, ma che di fatto eroga servizi a centinaia di lavoratori precari. MOB è l’unico servizio alla cultura, soprattutto, che cerca di svolgere un intervento diretto nei confronti del mercato. Ed è, soprattutto, l’unico servizio pubblico per precari realmente funzionante e in crescita sul territorio di Bologna.
Alla base della progettualità di MOB, vi è altresì un’elaborazione riguardante le politiche culturali nel loro insieme. La riflessione più estesa può essere letta in questo manifesto teorico-pratico del 2012. Essa consta dell’analizzare la cultura, innanzitutto, nella sua valenza di settore produttivo e occupazionale. Questo implica, quindi, una critica radicale a quella politica culturale letta soltanto dal punto di vista della fruizione e del consumo, che il centrosinistra esprime tanto a Bologna quanto nelle altre città italiane.
In sintesi, quanto rimane oggi del progetto originario di Salotto Precario consta del mandato elettorale di Francesca Rossi e, specificamente, dell’intervento amministrativo di quest’ultima sul settore culturale.
Questo anche perché, nel frattempo, il progetto complessivo viene messo in crisi da un ulteriore mutamento negativo nello scenario politico nazionale: le elezioni politiche del febbraio 2013.

ELEZIONI POLITICHE 2013, OVVERO QUANDO SINISTRA E WORKING CLASS SANCISCONO IL DIVORZIO

In periodo elettorale, io e altri attivisti del Salotto/Circolo (ma non tutti) ci affidiamo a una debolissima speranza: la vittoria di Bersani. Le proposte di quest’ultimo sul lavoro e sull’economia sono poco più che palliativi e, soprattutto, a fronte d’un processo di eversione costituzionale determinato dai Trattati Europei, Bersani propone nientemeno che la dissoluzione definitiva della Costituzione nazionale negli Stati Uniti d’Europa.
Ciò malgrado, vi è l’esile e incerta possibilità che un governo di centrosinistra – in alleanza con Hollande – trovi la forza e la volontà di rinegoziare il fiscal compact. Dal punto di vista degli interessi concreti e immediati di un lavoratore, non si tratta assolutamente d’un fatto secondario. Di qui la scelta di votare per il progetto bersaniano. Malgrado tutto.
Ad ogni modo, non sapremo mai se un Governo Bersani sarebbe riuscito a essere conseguente a tale proponimento giacché le elezioni, come tutti sanno, hanno un esito assai diverso. Soprattutto, quella debole impronta socialdemocratica che ha caratterizzato la segreteria PD degli ultimi due anni viene archiviata. In questo momento, la leadership del primo partito di centrosinistra è difatti andata in mano a due uomini che rivendicano fieramente la propria ideologia liberista: Enrico Letta e Matteo Renzi.
Infatti, se vent’anni fa il centrosinistra italiano ha scelto di allearsi strategicamente con le èlite del capitalismo internazionale, ciò è avvenuto al prezzo di una forte conflittualità interna; una conflittualità nella quale il Circolo Precari ha provato a inserirsi in qualità di avanguardia marxista e anti-liberista. Nella fase attuale, invece, sembra che questo ventennale conflitto si sia concluso. Lo scontro tra servitori e interlocutori del Capitale, cioè, si è risolto con la netta vittoria dei primi sui secondi. In tal caso, chi come noi di Salotto Precario/Circolo Precari si pone invece verso il capitalismo in termini antagonisti, di quale spazio d’intervento politico potrà mai fruire?
Infine, con le elezioni del 2013 maturano i semi piantati nei decenni precedenti e il divorzio tra sinistra e working class assume, stavolta, i connotati dell’irreversibilità. I dati relativi al voto di operai, disoccupati e lavoratori autonomi, infatti, indicano chiaramente come la classe lavoratrice abbia decisamente sdegnato l’offerta politica della coalizione “Italia bene comune”.
Come subito rilevato da diversi esponenti politici – tra essi Stefano Fassina nonché lo stesso Mario Monti – l’atteggiamento verso l’Unione Europea influisce enormemente sull’esito del voto. Il partito che propugna “più Europa” perde voti, i partiti che attaccano frontalmente gli indirizzi economici della UE – PDL e M5S – superano le previsioni dei sondaggi. Ciò significa che quando, in campagna elettorale, Bersani e Vendola enunciano “il sogno degli Stati Uniti d’Europa”, essi entrano in sintonia esclusivamente con una base elettorale fidelizzata, cioè con quel poco che rimane di ceto medio. Nella percezione di precari, operai e autonomi quel “sogno” assume, al contrario, i contorni di un incubo.
Con le elezioni politiche del 2013, l’Italia si allinea quindi agli altri paesi europei, laddove la classe lavoratrice e i ceti poveri – proprio in reazione alla perdita di sovranità popolare determinata dalla dimensione europea – votano in misura crescente per le destre nazionaliste.
Dopo il ciclo del Governo Monti, questo secondo sconquasso fa vacillare la tenuta del Circolo Precari. Molti iscritti, infatti,  dichiarano pubblicamente di non voler rinnovare la tessera giacché impossibilitati a riconoscersi nella linea nazionale del partito. E così, i rimanenti iscritti decidono di terminare il percorso del Circolo Precari PD.
A questo punto, anche chi scrive decide all’inizio del 2013 di non rinnovare la tessera democratica e il mio dubbio, ora, è se proseguire un’attività politica delimitata al settore culturale oppure se costruire un nuovo strumento non partitico di orientamento marxista.
Ma di cosa dovrebbe constare, in questa fase, un progetto politico marxista?

SOLTANTO IL SOVRANISMO, OGGI, CI PARLA DI LOTTA DI CLASSE

Tutto il ragionamento sopra esposto sull’eversione costituzionale messa in atto dal Governo Monti, chiama in causa quel che è diventata – o forse quel che si è rivelata essere – l’Unione Europea. Il processo eversivo più sopra descritto, infatti, non è stato altro che l’attuazione di disposizioni prescritte all’Italia dalla Commissione Europea e dalla BCE.
Il processo di costruzione europea sta infatti dissolvendo, lentamente ma inesorabilmente, l’effettiva vigenza delle Costituzioni nazionali. Da questo stanno discendendo conflitti giuridici – coinvolgenti le varie Corti Supreme – in Germania, in Portogallo, in Francia e in altri paesi. Suddetto conflitto ruota intorno a una semplice domanda: a chi spetta il primato normativo, agli articoli delle Costituzioni nazionali oppure a quelli dei Trattati Europei?
In questo momento, il progetto degli Stati Uniti d’Europa tanto caro alla sinistra si delinea come la creazione di un’entità statale a-costituzionale, dunque deprivata della sovranità popolare. L’architettura istituzionale è, certamente, ancora in via di definizione, ma già traspare quanto gli organi elettivi (Parlamento Europeo) non abbiano controllo sulle strutture che determinano gli indirizzi economici (BCE, MES).
Se questo è il quadro, diventa altresì impossibile portare avanti una prospettiva marxista all’interno di una sinistra devota in maniera pedissequa e integralista alla causa dell’Unione Europea. Diventa altresì impossibile portare avanti una prospettiva marxista quando la maggioranza della working class europea vota a destra o, come in Italia, per formazioni comunque alternative alla sinistra. Diventa impossibile, soprattutto, quando precari e operai esprimono tale orientamento proprio in contrasto alla narrazione euro-teologica del fronte progressista.
Stando così le cose, il problema allora non è il PD, bensì la sinistra nel suo insieme – non ultima la sinistra di movimento. In altre parole la domanda è se sia ancora possibile, oggi, essere marxisti e al contempo essere parte della sinistra politica.
È possibile nel momento in cui classe lavoratrice e sinistra politica stanno prendendo strade divergenti? La seconda rappresenta, oggi, quel poco che rimane di ceto medio e parla quasi esclusivamente di globalismo e deterritorializzazione, attribuendo a suddetti paradigmi un presunto valore di emancipazione.
La classe operaia e precaria parla, al contrario, di territorio, di sovranismo, di protezionismo.
Dinanzi a una contraddizione del genere, un marxista cosa deve fare? Sostenere le istanze della sinistra politica oppure quelle della classe a cui appartiene?
Non so se riuscirò a trovare compagni di strada disposti a un lavoro politico incentrato su questi nodi problematici. Certamente, però, questi nodi travolgeranno ben presto le agende politiche italiana ed europea. A quel punto, quando deflagrerà il conflitto tra globalismo e sovranismo, ciascuno dovrà scegliere da che parte stare.
Chi, a sinistra, sostiene di voler difendere la Costituzione e poi non si dichiara sovranista, sta raccontando delle frottole a se stesso.
Chi – generalmente non di sinistra – si dichiara sovranista e poi giudica irrilevante il tema costituzionale, sta raccontando delle frottole a se stesso.
Oggi, piaccia o no, nel quadro conflittuale e strategico in cui siamo immersi, le èlite finanziarie stanno dissolvendo le sovranità nazionali e le Costituzioni nello stesso momento. E lo stanno facendo al fine di rendere ineffettiva la sovranità popolare. Oggi, grazie all’attacco sferrato dalle oligarchie al costituzionalismo, le categorie di sovranità popolare e sovranità nazionale risultano essere coincidenti, strategicamente indissolubili.
Come ha scritto Barbara Spinelli, credere nell’Europa, oggi, comporta l’essere euroscettici. A questo io aggiungo che credere nell’Europa, oggi, significa ascoltare le istanze della working class europea.
In questi giorni, infatti, gli operai, i precari e gli esponenti impoveriti del ceto medio di tutta Europa stanno scendendo in piazza contemporaneamente nelle varie capitali. Stanno cioè portando avanti una battaglia internazionalista – e non certo globalista – per difendere le Costituzioni e le sovranità nazionali dei vari paesi dall’attacco di èlite finanziarie che hanno assunto il controllo tanto dell’Unione Europea quanto dei singoli Stati.  In altre parole, la working class sta entrando in conflitto con la legalità di Stato al fine di difendere la legalità costituzionale. Quest’ultima, ricordiamolo, esiste fintanto che esiste una sovranità. E la sovranità, a sua volta, esiste fintanto che esiste una dimensione costituzionale.
Possiamo quindi concludere che soltanto il sovranismo, oggi, ci parla di democrazia.
Soltanto il sovranismo, oggi, ci parla di lotta di classe.


Viewing all articles
Browse latest Browse all 10

Latest Images

Trending Articles